Un team dell’Università Federale di ABC (UFABC) in Brasile è riuscito a sintetizzare molecole che, nei test preclinici, hanno dimostrato efficacia nel contrastare i sintomi e le alterazioni biochimiche associate all’Alzheimer. Il gruppo, guidato dalla professoressa Giselle Cerchiaro, ha condotto una ricerca approfondita che ha compreso simulazioni al computer, esperimenti su colture cellulari e test su modelli animali. Attualmente, i ricercatori stanno cercando di passare alla fase dei test clinici sugli esseri umani.
Una svolta nella cura dell’Alzheimer: gli scienziati hanno trovato un modo per eliminare la causa della malattia

Il meccanismo d’azione di questi composti si basa sulla loro capacità di agire come chelanti del rame, legandosi all’eccesso di questo metallo presente nelle placche beta-amiloidi e facilitandone la degradazione.
Queste placche, formate da frammenti di peptidi amiloidi depositati tra i neuroni, generano infiammazione e ostacolano la comunicazione neuronale, contribuendo al deterioramento cognitivo caratteristico della malattia. Secondo lo studio pubblicato sulla rivista ACS Chemical Neuroscience, la somministrazione del composto nei ratti ha permesso di ridurre al minimo la perdita di memoria, migliorare l’orientamento spaziale e le capacità di apprendimento, oltre a invertire il modello biochimico delle placche.
L’interesse per il ruolo del rame nella fisiopatologia dell’Alzheimer risale alle ricerche dell’ultimo decennio, che hanno identificato l’influenza degli ioni di rame nell’aggregazione delle placche beta-amiloidi. È stato dimostrato che mutazioni genetiche e alterazioni degli enzimi responsabili del trasporto del rame possono causarne l’accumulo nel cervello, favorendo la formazione di queste placche. Secondo Cerchiaro, “la regolazione dell’omeostasi (equilibrio) del rame è diventata uno dei punti focali per il trattamento dell’Alzheimer”.
Sulla base di queste conoscenze, il team dell’UFABC ha progettato e sintetizzato dieci molecole in grado di attraversare la barriera emato-encefalica ed eliminare il rame dalle placche. Di queste, tre sono state selezionate per essere testate su ratti con Alzheimer indotto, e una si è distinta per la sua efficacia e il suo profilo di sicurezza.
Questo progresso è il risultato della collaborazione tra diversi ricercatori: la tesi di dottorato di Mariana LM Camargo, la tesi di master di Giovana Bertazzo e il progetto di laurea di Augusto Farias. Inoltre, il gruppo guidato da Kleber Thiago de Oliveira presso l’Università Federale di São Carlos (UFSCar) ha partecipato alla sintesi di uno dei composti.
Gli studi sugli animali hanno dimostrato che il composto non solo ha ridotto la neuroinfiammazione e lo stress ossidativo, ma ha anche ripristinato l’equilibrio del rame nell’ippocampo, una regione cerebrale fondamentale per la memoria. Gli animali trattati hanno mostrato miglioramenti nell’orientamento spaziale e non hanno presentato tossicità nelle colture cellulari né alterazioni dei segni vitali durante l’esperimento. Le simulazioni al computer hanno confermato la capacità del composto di attraversare la barriera emato-encefalica e agire direttamente sulle aree colpite.
Il morbo di Alzheimer è una malattia neurodegenerativa complessa e multifattoriale, senza cura né causa unica identificata. Si stima che 50 milioni di persone convivono con questa malattia in tutto il mondo.
Il lavoro dell’UFABC ha portato a una domanda di brevetto e i ricercatori sono alla ricerca di partner per avviare la fase di sperimentazione clinica sull’uomo. Cerchiaro sottolinea il potenziale dell’innovazione: “È una molecola estremamente semplice, sicura ed efficace. Il composto che abbiamo sviluppato è molto meno costoso dei farmaci disponibili. Pertanto, anche se funzionasse solo per una parte della popolazione, dato che l’Alzheimer ha molteplici cause, rappresenterebbe un grande passo avanti rispetto alle opzioni attuali”.
