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Jane Austen su ciò che siamo realmente: «Non sono le parole o i pensieri a definirci, ma le nostre azioni»

Jane Austen non è semplicemente una famosa scrittrice inglese dell’inizio del XIX secolo. La sua opera è ricca di sfumature e di profondità. Sicuramente, il fatto che sia stata etichettata come “letteratura femminile” potrebbe aver distratto dai suoi valori. Tuttavia, la sua attualità e il suo successo a più di 200 anni di distanza l’hanno riscattata.

L’eredità senza tempo di Jane Austen: quando sono le azioni a definire chi siamo

Oggi come ieri, è una delle scrittrici che ha influenzato maggiormente le generazioni. Il suo modo di scrivere, preciso, diretto e ricco di ironia, ci cattura. Le sue storie d’amore sono solo la base su cui si muovono le sue opere. C’è un ritratto dei costumi e delle gerarchie sociali del suo tempo ben definito.

Ma è la sua capacità di descrivere i personaggi, specialmente quelli femminili, molto in anticipo sui tempi, che più ci stupisce. Personaggi forti e indipendenti. Le sue opere offrono un insegnamento di vita che può esserci molto utile ancora oggi.

Il modo in cui agiamo, con quale morale e quali criteri ci regaliamo sono i pilastri di una delle sue opere più importanti, se non la più importante: Sense and sensibility. È stata tradotta come “Senso e sensibilità”, anche se sarebbe corretto anche ragione ed emozione. I suoi personaggi si rivelano attraverso le loro azioni più che attraverso le loro parole.

In questo contesto, riportiamo qui una delle frasi celebri che molti hanno attribuito a Jane Austen, anche se non compare né in questo libro né in nessun altro dei suoi scritti. Come spesso accade, la frase è più un compendio delle idee che traspare dalla sua opera.

“Non è ciò che diciamo o pensiamo che ci definisce, ma ciò che facciamo”. È una frase tratta dalla serie che la BBC ha realizzato adattando il romanzo Ragione e sentimento. Anche se, insistiamo, coincide con ciò che sostiene Austen: “Non è ciò che diciamo o proviamo che ci rende ciò che siamo, ma ciò che facciamo o non facciamo”.

La storia originale, pubblicata nel 1811, rifletteva l’importanza delle apparenze nella società borghese dell’epoca. E sottolineava che le azioni finiscono per riflettere la nostra moralità. I tempi sono cambiati, ma l’idea persiste. Non importa cosa vuoi pensare o cosa dici. Puoi anche ingannare te stesso. Alla fine sono le tue azioni che rimangono.

Un’idea molto profonda

Jane Austen non era una donna noiosa che si distraeva scrivendo. Era un’autrice molto colta. Era figlia di un sacerdote anglicano. A quel tempo, la chiesa era molto legata alle università. Il grande astrofisico John Michell o il padre della genetica Gregor Mendel erano sacerdoti.

Jane Austen visse circondata da libri e ricevette un’istruzione insolita per le donne del suo tempo. Questo le permise di sviluppare il suo talento letterario e di offrire un’analisi acuta che si ricollega a idee filosofiche, come la frase che stiamo trattando.

La tesi secondo cui l’identità morale e il carattere non si costruiscono con dichiarazioni di intenti, ma con abitudini e decisioni è stata sostenuta da molti altri pensatori.

Da un lato, ci rimanda all’etica della virtù proposta da Aristotele. “Diventiamo giusti compiendo azioni giuste; temperanti, compiendo azioni temperanti; coraggiosi, compiendo azioni coraggiose”, afferma il saggio greco. Il carattere (êthos) si acquisisce con la pratica; per questo le opere contano più dei discorsi.

Ci avvicina anche al confucianesimo. Confucio riassume: “L’uomo nobile è modesto nelle parole, ma eccelle nelle azioni”. E più vicino nel tempo, Jean Paul Sartre, padre dell’esistenzialismo, afferma: “L’uomo non è altro che ciò che fa di sé stesso”. La libertà si verifica nell’atto e comporta responsabilità: ogni scelta ci definisce.

Ci aiuta a crescere a livello personale

I valori morali racchiusi in questa frase dovrebbero essere un pilastro di qualsiasi società. Oggi, e già da molti anni, viviamo molto ancorati alle apparenze. Questo non ci definisce. Non importa se sei silenzioso o se non ti vedono contribuire con iniziative solidali. Se poi agisci con empatia e solidarietà, la tua coscienza sarà tranquilla e rispetterai te stesso.

Inoltre, ci sono molti studi psicologici che sottolineano i benefici di questo atteggiamento per la nostra salute mentale. Non è così quando abbiamo la reazione opposta. Ci rendiamo molto visibili nella difesa di una causa, ma poi non facciamo nulla di concreto per sostenerla. Quanti “difensori” sui social network che aiutano le persone malate o bisognose poi non contribuiscono nemmeno con un euro quando si tratta di donare.

Essere coerenti con le proprie convinzioni e agire di conseguenza è il modo per raggiungere quell’equilibrio mentale di cui abbiamo tanto bisogno. Se non sei a tuo agio con te stesso, agisci per cambiare. La psicologa Carl Dweck, dell’Università di Stanford, lo chiama “mentalità di crescita”. Cambiare il modo di pensare deve essere accompagnato da comportamenti e azioni. Questi atti ripetuti ti aiuteranno a trasformarti.

Anche Stephen R. Covey (autore di Le 7 abitudini delle persone altamente efficaci) mette al primo posto l’essere proattivi: prendere l’iniziativa e la responsabilità di agire nella propria sfera di influenza, invece di incolpare le circostanze. È una traduzione pratica del “definirsi per ciò che si fa”.

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